« Esistono oggetti maledetti, in grado di tirare fuori il peggio da chi li possiede, impregnati di malvagità tanto che se fosse possibile spremerli le mani si tingerebbero di sangue all’istante! »
« Prego? » chiesi al mio cliente abbassando il volume dell’autoradio d’istinto sperando , in cuor mio, di aver frainteso le sue parole.
« Oh, niente! Niente…» rispose vago, forse pentito, temendo di essere preso per pazzo. « Sono solo un vecchio agente di polizia in pensione che ogni tanto pensa ad alta voce! » quasi sussurrò.
Quella sua risposta sommessa e a tratti imbarazzata mi suonò come una richiesta di aiuto, qualcosa mi diceva che quell’anziano dall’aspetto mite, dal volto scavato dai lunghi anni di servizio e ricoperto da una barba appena accennata , aveva bisogno di liberarsi da un pesante fardello.
« Ha trascorso molti anni in polizia? » chiesi nel tentativo di spronarlo a parlare.
« Mi sono arruolato nell’immediato dopoguerra e fui subito trasferito a Palermo dove la mia vita cambiò per sempre. »
« Le andrebbe di raccontarmi cosa le successe in quel periodo? »
« Uhmm perché no? In fondo come si dice? Confidarsi con gli estranei è più facile, non è vero? »
« Verissimo! » risposi soddisfatto per aver raggiunto il mio scopo.
« Giovanotto drizzi bene le orecchie e si metta comodo perché la storia che sto per raccontarle è forse una delle peggiori pagine di cronaca nera riguardanti Palermo che mi ha coinvolto in prima persona, sia come agente che come essere umano.»
« Bene, sono tutto orecchie! Le dispiace se fumo mentre guido e l’ascolto? »
« Mi dispiacerebbe di più se lei fumasse e io non le facessi compagnia! »
A quella sua risposta gli porsi in automatico il pacchetto di sigarette, l’uomo ne prese una e se l’accese, io lo seguii a ruota libera impaziente di sentire la sua storia.
Fece una profonda boccata e rimase qualche secondo a fissare la sigaretta tra le sue ossute dita quasi a voler viaggiare indietro nel tempo.
« Mi arruolai nel 1946 e fui subito mandato in Sicilia, erano gli anni del banditismo e Palermo in quel periodo era una zona molto calda e pericolosa. La banda di Giuliano era in piena attività e vi erano già stati diversi caduti tra polizia e carabinieri. Le confesso che quel trasferimento mi turbò parecchio.
Ero molto giovane all’epoca e come molti altri miei colleghi alloggiavo in caserma.
Le indagini si svolgevano tra Palermo, Monreale e Montelepre.
Passavamo spesso intere giornate a perlustrare zone boschive impervie nella speranza di beccare qualche bandito.
Era un attività molto faticosa, frustrante e infruttuosa.
Quando non ero in servizio mi avventuravo per le vie di Palermo.
Vi erano ancora parecchie zone ridotte in macerie dai bombardamenti degli alleati e il tasso di povertà era molto alto. La gente cercava di arrangiarsi come meglio poteva.
Mi piaceva molto frequentare il mercato. Brulicava di vita , macellai, fruttivendoli, le bancarelle del pesce , del ghiaccio, del pane. Era tutto un gran strillare, un enorme caos. Rigattieri, gente che esponeva merce di dubbia provenienza per terra. Era anche il posto preferito dagli scippatori. Non era raro sentire gridare “Al ladro” in direzione di qualche giovanotto che scappava tra le viuzze affollate del mercato.
Una mattina , durante una delle mie sortite, avvertii come una presenza alle mie spalle, mi sentii sfiorare i pantaloni , mi voltai di scatto e mi ritrovai faccia a faccia con un bambino che stava tentando di rubarmi il portafoglio. Prontamente lo bloccai. Avrà avuto circa dieci anni, sudicio e maleodorante, coi vestiti logori.
« Lasciami! » mi urlò.
« Eh no ragazzino, stavolta ti è andata male! Sono un poliziotto e sei in arresto, e adesso vieni con me al commissariato » lo ammonii severamente.
Mentre lo trascinavo via mi implorava di lasciarlo andare, di perdonarlo.
« Marescià, lassami ire (lasciami andare) , non lo faccio più.» Piangeva e le lacrime gli lasciavano dei segni visibili sulle guance portandosi via il nero della sporcizia.
« Come ti chiami? » gli chiesi.
« Ninì, marescià! »
« Quanti anni hai? »
« 11»
« Dovresti essere a scuola e non in giro a rubare »
« Ma quale “scola” marescià, non abbiamo nemmeno i soldi per mangiare, figurati per andare a “scola”, ho 5 fratelli e devo portare il pane a casa! »
« Il pane a casa lo deve portare tuo padre, tu devi frequentare la scuola.» Tuonai.
« Marescià mio padre è morto in guerra e non abbiamo nessuno che ci aiuta, lo volete capire o no?»
A quelle parole mi fermai di colpo, fu come ricevere un pugno in faccia che mi aprì gli occhi. Il mio cinismo mi impediva di vedere una realtà a me sconosciuta. Io, figlio benestante che avevo studiato e frequentato l’accademia, appena uscito di casa , così ingenuo e poco preparato a situazioni totalmente differenti dal mio vissuto fin’ora.
In quell’estasi chiarificatrice gli domandai : « Ninì hai mangiato? »
« L’altro ieri sera marescià, sono riuscito a rubare un paio di mele e una patata. Li ho portati a casa e la mamma li ha divisi in parti uguali.»
Senza dire nemmeno una parola cambia direzione, sempre trascinandolo. Ci avvicinammo a un carretto dei gelati. Il proprietario era un uomo sulla trentina, alto , snello, coi pantaloni neri e una maglietta bianca a mezze maniche. Aveva la pelle scura e dei baffi folti nerissimi. Indossava un cappellino bianco di stoffa dal quale sbucavano ciuffi di capelli corvini.
Vedendomi avvicinare con quel ragazzino singhiozzante mi chiese se fosse tutto a posto, se avessi bisogno di qualcosa.
Risposi che avevo bisogno di due coni.
« Ninì, come lo vuoi il gelato? » chiesi al piccolo ladruncolo incredulo che quasi non riusciva a contenere gli occhi nelle orbite dalla sorpresa.
« Fragola! » disse ipnotizzato.
« Per me al limone » aggiunsi.
Il gelataio aprì i piccoli pozzetti del suo carretto che conteneva sei gusti differenti. Con grande maestria impilò il gelato sui coni che ci porse ringraziandoci.
Mollai la presa sul braccio di Ninì e gli presi la mano, ci allontanammo dal carretto e ci sedemmo su due gradini poco più avanti.
Ninì mangiò avidamente e di gran gusto il suo cono e finì molto prima di me.
Gli chiesi se ne volesse un altro. Inizialmente annuì ma poi si fermò e mi disse: « Veramente mi piacerebbe poter potere un gelato alla mamma e ai miei fratelli. »
Quella richiesta mi intenerì moltissimo.
« Facciamo così » gli dissi , « Adesso compriamo un po’ di pane, carne e della frutta e alla fine i gelati così fili dritto a casa e non ti si sciolgono in mano. »
Ninì fece un sorriso grande come il sole e mi scaldò il cuore.
Iniziò a saltellare di gioia.
Se prima voleva scappare da me adesso mi ronzava attorno mentre facevamo compre per le bancarelle.
Notai una piccola drogheria , grande non più di 5 metri per 5 metri. Seduto davanti alla porta un anziano signore intento a fumare. Mi avvicinai. Lo salutammo e entrammo nel locale. C’era un po’ di tutto , dal pane ai cibi in scatola. Spesi qualche lira, e feci aggiungere alla fine una manciata di caramelle. Chiesi all’uomo se cercasse un commesso, un aiutante da assumere nel suo negozio, l’anziano ci pensò su qualche minuto e alla fine si convinse che forse delle giovani braccia e gambe gli avrebbero fatto comodo , soprattutto con le consegne porta a porta.
Domandai a Ninì se fosse disposto a lavorare in quella piccola bottega e mi feci giurare e spergiurare che si fosse comportato bene e che avesse lavorato sodo. Ovviamente mi offrii da garante nel caso qualcosa non fosse andata nel verso giusto. Dietro quelle ulteriori garanzie l’anziano accettò.
« Vieni domani mattina, alle otto in punto, e datti una bella lavata e sistemata! »
Ninì era entusiasta, credo pensasse di stare sognando.
Usciti dalla drogheria tornammo al carretto dei gelati, Ninì aveva due grosse buste della spesa e faticò non poco per mantenere tutti quei coni impiastricciandosi le mani e leccandosi le dita in un tripudio di sporcizia , zucchero e saliva!
Avrei voluto abbracciarlo ma temevo mi restasse appiccicato addosso. Lo salutai e lo vidi sparire in fretta tra la folla.

Quando non ero in servizio mi precipitavo al mercato, andavo in drogheria a controllare che Ninì si comportasse bene e mi informavo col proprietario sul suo rendimento. Chiedevo al vecchio il permesso di allontanarci qualche minuto e andavamo al carretto dei gelati a prendere un cono.
Col passare del tempo l’appuntamento per il gelato con Ninì diventò un’ abitudine, provai anche a insegnargli dei rudimenti di grammatica e matematica, gli regalai dei libri di prima elementare e un quaderno dove Ninì si esercitava durante i momenti di quiete in negozio.
Nel giro di un paio d’anni imparò a leggere e a scrivere, non fluentemente , ma l’impegno era notevole.
Nell’estate del 1948 scoprimmo che Salvatore, il proprietario del carretto dei gelati, aveva aperto una piccola gelateria a Mondello, lasciandoci così orfani dei suoi magnifici coni.
La gente al mercato mormorava che avesse vinto del denaro grazie al quale fu in grado di mettere su una gelateria, alcune malelingue invece affermavano che il suo successo fosse il frutto di affari poco leciti o oscuri.
Invitai Ninì ad andare a prendere un gelato da Salvatore nella sua nuova gelateria domenica pomeriggio.
Giunti a Mondello non fu difficile trovare il posto, il locale , infatti, era letteralmente preso d’assalto da famiglie con bambini al seguito, coppie di fidanzati e giovani ragazzi.
Il locale era piccolino con una enorme insegna che diceva : “Al mago del gelato.”
Ci mettemmo pazientemente in coda ascoltando, impazienti, le lodi di chi, uscendo, si gustava il gelato.
Quando fu il nostro turno Salvatore ci accolse con grande gioia e ci consigliò di provare i suoi cavalli di battaglia: fichi secchi e gelsi.
Non abbiamo avuto tempo per parlare perchè la ressa di gente dietro di noi ci impedì di intrattenerci ulteriormente.
Salvatore ci urlò “ tornate presto” mentre uscivamo dal locale,
bisognava ammettere che fosse veramente il mago del gelato, i suoi gusti erano buonissimi.
Tornammo a casa lasciando Salvatore al suo lavoro immerso in un via vai di gente in cerca di un dolce refrigerio in quell’assolata domenica.

Più tardi fui svegliato nel cuore della notte dall’ufficiale di picchétto che mi informava che alla porta un ragazzino, visibilmente agitato, chiedeva di me.
Mi precipitai in fretta e furia.
« Antonio, Antonio, il mio fratellino di 8 anni è sparito! » mi urlò piangendo e correndomi incontro.
Non ebbi il tempo di dirgli nulla che mi si butto con le braccia al collo singhiozzando sul mio petto.
«Era fuori che giocava con gli altri bambini questo pomeriggio, ma non è più rientrato, lo abbiamo cercato in lungo e in largo ma niente…di lui non c’è traccia, ti prego aiutami.» Mi implorò.
« Ti prometto che farò il possibile per ritrovarlo, avviserò subito i colleghi, vieni dentro a sporgere denuncia.»
Sporta denuncia , cercai di consolare Ninì con una barretta di cioccolato e un cordiale al caffè.
« Torna da tua madre e stalle vicino, fammi organizzare e ci mettiamo subito all’opera per trovare tuo fratello.»
All’alba fui convocato dal tenente.
« Deoro, fonti vicine ci dicono che alcuni membri della banda Giuliano fanno provviste presso un forno sito a Pioppo, vicino Monreale. Voglio che sorvegli quel posto giorno e notte in cerca di riscontri.»
« Signor tenente, con tutto il dovuto rispetto, vorrei occuparmi della sparizione di un bambino di otto anni avvenuta ieri in circostanze sospette.» feci al mio superiore mettendomi sugli attenti.
« Deoro, non si permetta mai più di discutere un mio ordine, e mi ringrazi che non la sbatto dentro per insubordinazione. Abbiamo cose molto più importanti di cui occuparci. E ora filare!»
« Signorsì tenente » risposi con la morte nel cuore.
Quell’incarico mi impegnò per oltre due settimane, mi trasferii temporaneamente nella caserma dei carabinieri di Pioppo, sotto copertura. La soffiata si era rivelata veritiera e le indagini mi portarono a spostarmi tra le campagne di Giacalone e Sagana in lunghi appostamenti .
Alla fine riuscii a identificare un paio di uomini appartenenti alla banda di Giuliano e li segnalai al comando. Purtroppo di Salvatore Giuliano nessuna traccia, ma almeno avevamo qualcuno da spremere per ottenere informazioni, in quegli anni le forze dell’ordine usavano il pugno di ferro (e anche le catene) per convincere i criminali a parlare.
Finito il mio incarico rientrai a Palermo e ottenni una licenza premio di 5 giorni.
Il mio primo pensiero fu quello di correre da Ninì per avere aggiornamenti e per scusarmi per la mia improvvisa sparizione.
Niente era cambiato dal nostro ultimo incontro.
Il suo fratellino risultava ancora scomparso e, a dire il vero, nessuno si era degnato di eseguire delle ricerche serie, l’unica cosa che importava in quel periodo era la lotta al comunismo e al banditismo.
Ninì mi confessò di aver condotto delle “indagini” per conto suo e di essere venuto a conoscenza che i bambini scomparsi erano tanti. Qualcuno stava facendo incetta di bambini.
Perchè?
Non erano rapimenti compiuti ai fini di un riscatto. C’era sotto qualcosa di losco.
Decisi di impiegare i miei giorni di licenza per venirne a capo.
Cominciammo a chiedere informazioni in giro nella speranza che qualcuno avesse notato qualcosa di strano.
Da qualche tempo si era sparsa la voce che a rapire i bambini fosse un demone, una strana creatura in grado di abbindolare i piccoli e di farli sparire sotto gli occhi di tutti.
Altri parlavano di un misterioso uomo che andava in giro con un grosso sacco di tela che usava per ficcarci dentro le sue vittime e sparire tra la folla.
Non avevamo nessuna pista concreta da seguire, io stesso brancolavo nel buio e il non riuscire ad aiutare il povero Ninì mi faceva stare male, vederlo così triste e determinato a trovare il fratello mi fece sentire inutile.
Pensai che per trovare il colpevole dovevamo controllare quei posti dove si riunivano i bambini, e quale posto migliore di una gelateria appena aperta in piena estate in una frequentatissima località balneare?
Il piano era semplice, fingersi bagnanti e osservare tutto quello che succedeva all’esterno della gelateria alla ricerca di qualche indizio, senza dare troppo nell’occhio.
Controllammo la zona per tre giorni senza mai notare nulla di strano.
Il via vai era continuo così come come la presenza di bambini, ma nessuno si avvicinava a loro con fare sospetto, forse non era il posto adatto dove cercare.
Sconsolati, al quarto giorno di appostamenti , ormai decisi ad abbandonare il campo, decidemmo di affogare la nostra frustrazione in un cono gelato.
Approfittando di un momentaneo attimo di calma entrammo in gelateria da Salvatore che ci salutò col suo solito fare affettuoso.
Gli chiesi se avesse notato qualcosa di strano davanti al suo locale, se avesse mai notato qualcuno cercare di adescare bambini. Purtroppo non ci fu di grande aiuto perchè, complice il locale piccolo e la folla, durante le sue ore di lavoro non era in grado di vedere quello che accadeva al di fuori del suo negozio.
Mi complimentai per i suoi magnifici gelati e mi avviai all’uscita. Anche Ninì volle complimentarsi.
« Salvatore i tuoi gusti sono super, non ho mai mangiato un gelato più buono e migliore di quello che fai tu! »
« Ah,Ninì Ninì ! Il segreto del mio successo sono gli ingredienti freschi e genuini, ma soprattutto la lavorazione. Potrei essere in grado perfino di farti mangiare carne umana senza che tu te ne accorgessi! » rispose con un sinistro sorrisetto appena abbozzato sotto i suoi folti baffi.
Quelle parole, quelle strane , stranissime parole mi turbarono e al tempo stesso mi diedero il voltastomaco, trovai fuori luogo quella risposta. Anche Ninì rimase spiazzato nell’udire quei termini.
Una volta fuori dalla gelateria guardai Ninì e gli dissi « forse è il caso che continuiamo a controllare questo posto, qualcosa mi dice che Salvatore sappia più di quanto ci abbia detto!»
Ninì annuì con un espressione disgustata stampata sul suo volto, stringendo il cono così forte da sbriciolarlo tra le mani.
Poco prima dell’orario di chiusura , verso mezzogiorno vedemmo arrivare un signore con in spalla un grosso sacco di juta. Il fondo aveva una macchia scura e umidiccia di colore rossastro.
Dovetti bloccare Ninì per un braccio che cercò avvicinarsi dopo aver sussurrato “bastardo”.
L’uomo posò il grosso sacco davanti all’ingresso, e chiamò Salvatore il quale uscì inveendogli contro indicando il sacco poggiato per terra. L’uomo scambiò qualche parola mantenendo dei toni accesi per poi rimettersi il sacco in spalla e seguire Salvatore all’interno del locale. Qualche minuto dopo uscì senza sacco, tornandosene da dove era venuto.
Salvatore apparve sull’uscio poco dopo con un secchio pieno d’acqua che versò dove era stato poggiato il sacco. L’acqua si tinse di rosso…rosso sangue. Si guardò furtivamente attorno, chiuse la porta della gelateria e dopo aver abbassato la saracinesca si dileguò in fretta.
« Che cosa stiamo aspettando?» mi ringhiò Ninì. « Prendiamo quel bastardo assassino di bambini.»
« Non così in fretta, prima dobbiamo accertarci dei fatti e poi agire di conseguenza.» gli risposi dall’alto della mia esperienza investigativa.
« Adesso tu rimani qui nascosto, a controllare che Salvatore non torni indietro, io entrerò a dare un’ occhiata, se noti qualcosa di strano fai il verso del cane, rumorosamente così che io possa sentirti, e scappa.»
« Ok, farò come hai detto.» rispose seccato.
Mi intrufolai all’interno della gelateria tenendo sempre le orecchie ben aperte.
Notai delle piccole goccioline rosse sul pavimento che portavano fino ad una porticina sul retrobottega con un cartello che diceva LABORATORIO.
Feci un respiro profondo , impugnai la maniglia , la ruotai ed entrai dentro. Su un tavolo in acciaio inox giaceva il sacco di juta poggiato su una pozza di sangue. Mi avvicinai molto lentamente come se da quel sacco da un momento all’altro potesse uscire qualcosa pronta a mangiarmi. Ero sudato , spaventato, il battito del mio cuore era come impazzito. Allungai lentamente una mano esitante all’estremità del sacco, alzai il bordo molto lentamente socchiudendo gli occhi quasi a non voler guardare cosa contenesse. Con un movimento veloce della mano scoprii il contenuto…GELSI, dei comunissimi Gelsi rossi…quasi svenni per la tensione ma mi felicitai di non trovare alcun corpo orribilmente mutilato all’interno del sacco.
Mi diedi dell’idiota per essermi fatto suggestionare così tanto dagli eventi e mi avviai all’uscita.
Con la coda dell’occhio notai vicino al registratore di cassa un libro nero, dall’aspetto vissuto, rilegato in cuoio, le pagine ingiallite e irregolari. Pensando che si trattasse di un libro contabile , incuriosito, mi convinsi a dare ugualmente una sbirciata.
Appena sfiorai la copertina con le dita mi sentii come attraversare da una leggerissima scossa elettrica, ebbi come dei flashback, in rapida sequenza, di brutte esperienze passate. Allontanai d’istinto la mano e tutto tornò alla normalità. Provai un approccio diverso. Aprire direttamente il libro a metà. Vi riuscì senza nessun effetto collaterale ma quello che vidi in quelle pagine fu quanto di più disturbante avessi mai visto in tutta la mia vita.
Strani scarabocchi di esseri caprini venivano raffigurati in atteggiamenti violenti. Quelle figure avevano occhi che sembravano vivi in grado di scavarti l’anima e svuotarti da ogni volontà. Sentii dei forti crampi allo stomaco e un senso di nausea. Sfogliai velocemente qualche pagina osservando altri disegni raffiguranti corpi smembrati e martoriati. Bambini deturpati con bulbi oculari asportati e altre amenità. La nausea diventò ancora più forte accompagnata da sudori freddi e brividi. La morbosa e ripugnante curiosità di scoprire cos’altro si celava in quelle pagine era tale da sopraffare ogni mio malessere.
Proprio in quel momento sentii “abbaiare” insistentemente, era il segnale di Ninì. Fui preso dal panico e completamente intontito mi divincolai barcollando verso l’uscita scappando più in fretta che potessi senza guardarmi indietro.
Corsi senza mai fermarmi fino ad arrivare in caserma. Salì in camera dove vomitai anche l’anima, in quegli attimi mi sembrò di vedere pezzi di carne indefiniti in mezzo ai resti del gelato consumato qualche ora prima.
Mi ci volle del tempo per riprendermi del tutto.
A quel punto fu necessario fare il punto della situazione.
Capire se Salvatore fosse coinvolto fino in fondo in quella storia. Nonostante il sacco non contenesse altro che gelsi, quella sua risposta enigmatica e la presenza di quel terribile libro all’interno del suo locale meritavano ulteriori approfondimenti.
Altro aspetto da valutare era capire cosa fosse successo a Ninì immediatamente dopo aver lanciato l’allarme, era scappato via come da istruzioni? Bisognava agire in fretta, non c’era tempo da perdere.
Ispezionai la mia pistola d’ordinanza e la occultai sotto la maglietta , indossai della barba finta e una parrucca che ero solito usare durante i miei pedinamenti e mi diressi verso la gelateria.
Salvatore lavorava a pieno regime, come sempre, e come se nulla fosse successo. Io mi piazzai poco distante fingendo di essere un mendicante, osservando attentamente ogni minimo movimento o persona che entrasse nel locale.
Non accadde nulla di particolare e giunto all’orario di chiusura si affrettò a chiudere tutto e si incamminò, forse, verso casa. Cercando di farmi notare il meno possibile lo seguii a distanza di sicurezza.
Dopo poche centinaia di metri giunse davanti a una casa a pianterreno , aprì le persiane di legno e si rintanò dentro. Rimasi nei pressi dell’abitazione cercando di elaborare un piano finché verso le nove Salvatore uscì per recarsi in un piccolo box adiacente la sua abitazione costruito con segati di tufo e travi con dei fogli di lamiera logora che facevano da copertura. Aprì il grosso lucchetto e sparì all’interno per diverso tempo.
Rimasi immobile nascosto dietro una grande pianta di frangipani che mi permetteva di osservare senza essere visto.
Verso le undici la porta del box si riaprì e Salvatore tornò a casa sua , spense le luci e regnò il silenzio.
Aspettai almeno un’altra ora prima di fare qualsiasi cosa, volevo sincerarmi che il gelataio fosse andato a letto e che stesse dormendo.
Quando fui sicuro che Salvatore fosse fuori dai giochi mi avvicinai di soppiatto al box. Forzai senza grosse difficoltà il lucchetto ed entrai nella struttura. Fortunatamente oltre alla pistola avevo portato con me una torcia tascabile che mi permise di vedere cosa ci fosse in quel piccolo magazzino. Scaffali fatiscenti in legno alle pareti contenevano latte, zucchero e frutta di stagione. L’odore degli agrumi si mescolava alla puzza di chiuso creando un mix pungente e sgradevole. Notai al centro della stanza un grosso tappeto che stonava col resto dell’arredamento, lo sollevai e…bingo! Una botola in legno di circa 70cm per 70cm. La sollevai e vi puntai la torcia, una scala a pioli scendeva per circa due metri. Deciso ad andare fino in fondo scesi per la scala tenendo in bocca la torcia. L’ambiente era umido e molto fresco e arrivato in fondo notai che un lungo corridoio si snodava in lunghezza per circa una trentina di metri. Lo attraversai accompagnato dalla proiezione della mia ombra e dal suono del mio battito cardiaco.
Non era una struttura in cemento armato ma un tunnel scavato nella roccia. Il corridoio finì davanti a un portone in ferro che non era chiuso a chiave e abbassata la maniglia si aprì su una cripta. La stanza aveva un soffitto alto , quasi spoglia se non per un enorme altare circondato da candele e simboli esoterici. In un angolo un tavolo pieno di alambicchi e distillatori in rame. C’era puzza di morte. Per terra notai indumenti sporchi di sangue di piccola taglia e una scarpina.
Poi nel silenzio un mugugno terrorizzato mi gelò il sangue. Illuminai con la torcia in direzione di quel suono e vidi Ninì legato e imbavagliato.
Prontamente mi adoperai per slegarlo e togliergli il bavaglio e fu in quel momento che il suo mugugno disperato si tradusse in nitide parole « devi scappare via da qui, è una trappola!»
Rimasi qualche secondo interdetto il tempo di elaborare quella semplice frase.
« Lui sta tornando, scappa!» continuò Ninì in preda al panico.
Non ebbi nemmeno il tempo di alzarmi che dalla porta spuntò Salvatore armato di doppietta.
« Bene bene, chi abbiamo qui? La mia trappola per topi ne ha catturato uno bello grosso» mi schernì tenendomi sotto tiro col fucile.
« il mio signore sarà molto contento stasera di trovare questa sorpresa…»
« Quale signore? » chiesi.
« Oh se farai il bravo lo incontrerai molto presto, stasera avrai l’onore di partecipare al rituale…»
« signore…rituale ma di che diavolo stai parlando? Salvatore abbassa quel fucile, parliamone da persone civili…» gli feci avvicinandomi a lui.
« No no no, non fare un altro passo o ti mando dritto al creatore » fu la sua risposta.
Incurante del suo avviso mi avvicinai ulteriormente e lui fu quasi di parola, non mi mandò al creatore ma fece fuoco puntando al piede. Rimasi bloccato dal dolore tra le urla disperate di Ninì e le risate malate di Salvatore.
« Se non fai come dico la prossima volta mirerò alla testa. » rispose divertito.
Si avventò su Ninì che tramortì con un colpo di calcio di fucile in faccia, io non riuscivo a reagire e cercavo di stringere quello che restava del mio povero piede maciullato dai pallini di piombo della sua doppietta.
« Vedi mio caro » continuò a parlare mentre sistemava il povero Ninì sull’enorme altare assicurandolo per le caviglie e i polsi a delle funi.
« Quel bellissimo libro che le tue dita indegne hanno sfiorato, appartiene al mio signore. Egli è molto comprensivo e generoso, da quando ne sono venuto in possesso mi ha donato tutto quello che ho sempre voluto, successo nel lavoro, negli affari. Mi ha istruito come se fossi un figlio, mi ha insegnato ricette segrete da aggiungere al mio gelato per far si che fosse il migliore del mondo, mi ha tolto dalla strada, mi ha donato la via, la luce, la verità. E cosa vuole in cambio? Riconoscenza, solo riconoscenza, degli agnellini indifesi da offrirgli in segno di gratitudine, giovani e miserabili vite. Il minimo che io possa fare! Non ti sembra uno scambio equo? Stasera assisterai al sacrificio, offrirò il qui presente Ninì al mio signore.
« Salvatore sei malato, fatti aiutare, ti farò avere delle cure, usciamo di qui e ti cercherò personalmente un dottore, non dirò niente, te lo giuro…»
« Il mio signore è il mio medico e avrà cura di me come io ne ho per lui deliziandolo di carni tenere attraverso le quali lo sazio dalla sua atavica fame di vita…»
Indossato una tunica porpora accese le candele rituali. Prese in mano il libro e lo aprì reggendo nell’altra mano un pugnale dalla lama ondulata.
« Mio signore, il tuo umile servo ti chiede udienza. Dammi un segno della tua presenza »
All’improvviso le candele si spensero come se la cripta fosse stata attraversata da una folata di vento e dopo pochi secondi secondi si riaccesero in sequenza una dopo l’altra.
Io sgranai gli occhi e a quella vista mi terrorizzai.
« Ti prego mio signore accetta questa mia offerta »
Dopo aver poggiato il libro aperto sull’altare prese il pugnale a due mani e lo portò alla testa pronto a trafiggere il povero Ninì che si dimenava dopo aver ripreso i sensi.
D’istinto approfittando del fatto che in quel momento Salvatore mi desse le spalle impugnai la mia pistola e feci fuoco diverse volte colpendolo alla schiena e alla nuca. Stramazzò al suolo di faccia e nel momento stesso in cui toccò terra gli alambicchi , le boccette e gli specchi esplosero. La terra iniziò a tremare e dall’alto soffitto cominciarono a cadere pezzi di parete. A fatica per via della mia ferita al piede, liberai Ninì che facendo da stampella mi portò in fretta e furia fuori dalla cripta che ci stava crollando addosso. Mentre salivamo la scala a pioli la polvere riempì ogni nostro orifizio, segno che quella stanza degli orrori maledetta fosse collassata su se stessa. Raggiungemmo l’uscita del box e finalmente , esausti , ci buttammo a terra per prendere fiato.

Il giorno dopo feci rapporto ai miei superiori con dovizia di particolari.
Alcuni miei colleghi si recarono sul luogo del misfatto ma fu impossibile entrare nella cripta e di conseguenza recuperare il corpo del gelataio così come la maggior parte delle prove della sua colpevolezza.
Fu comunque aperta un indagine che durò più o meno due anni al termine della quale fu indetta una conferenza stampa.
L’articolo uscì sui giornali il giorno dopo ma fu offuscato dalla notizia dell’uccisione di Salvatore Giuliano e quei terribili fatti finirono per occupare a malapena qualche trafiletto in quinta o sesta pagina per poi cadere definitivamente nell’oblio in pochissimo tempo.

« Beh, perlomeno quel disgraziato ebbe la fine che si meritava così come quel libro maledetto» feci al mio cliente dopo aver ascoltato quell’incredibile storia.
« In realtà non è andata proprio così » continuò. « Anch’io ero convinto che il libro fosse rimasto sepolto nella cripta, invece qualche tempo dopo nel 1951 il proprietario della drogheria dove lavorava Ninì venne a cercarmi in caserma. Con le lacrime agli occhi e un filo di voce mi informava del suicidio di Ninì, si era impiccato. Nello sgabuzzino aveva trovato una carpetta con un foglietto che diceva per il maresciallo Antonio. Me la consegnò affranto prima di congedarsi. Quella terribile notizia fu una doccia fredda e riconoscendo la grafia stentata di Ninì nel bigliettino sulla carpetta scoppiai in un pianto inconsolabile.
Tornato nel mio alloggio aprii la carpetta e trovai una lunga lettera e un pacco.

Lèssi la lettera:
“ Caro Antonio, quella sera alla cripta poco prima di metterci in salvo ho preso quel maledetto libro e l’ho portato con me. Ho pensato che forse quel signore, così potente, nominato da Salvatore, in cambio di qualche piccolo favore avrebbe potuto farmi avere indietro il mio piccolo fratellino disperso.
Ho commesso un grande errore.
Possedere questo libro equivale alla dannazione.
L’ho letto e ho trovato il modo di far tornare in vita i morti ma il prezzo da pagare era troppo alto.
Con il mio rifiuto sono venuto meno ai patti e non rispettare i patti significa condurre una vita da inferno.
Preferisco togliermi la vita piuttosto che vivere tra indicibili sofferenze.
Perdonami.
Ninì.”


Intuii quindi che il pacco sigillato contenesse il libro. Pensavo che tenerlo sottochiave fosse bastato ma averlo sfogliato quel giorno in gelateria mi ha compromesso. Sono legato in qualche modo a questo libro. Ogni volta che mi si è presentato un problema ho dovuto combattere con tutte le mie forze l’istinto di aprirlo per cercare una soluzione. Chi lo tocca è dannato. E come diceva Ninì il possedere il libro porta a sofferenze indicibili. Solo chi non ne viene in contatto in nessun modo ha il potere di disfarsene.


Spero di non averla annoiata con questa mia storia.» Mi disse il cliente cambiando tono.
« Tutt’altro, è un racconto molto affascinante che ho seguito con grande interesse.» risposi.
« Eccoci arrivati a destinazione, le auguro ogni bene.»
« La ringrazio, e grazie per la sigaretta!» Scese dal taxi e si incamminò verso il terminal dell’aeroporto con passo vistosamente zoppicante. Lo accompagnai con lo sguardo fino a quando le porte automatiche si chiusero alle sue spalle.
Accesi una Camel e feci strada verso casa.
Durante il tragitto un gatto nero mi attraversò la strada , provai a scansarlo ma ebbi l’impressione di averlo preso in pieno. Frenai bruscamente e guardai lo specchietto per controllare se lo avessi investito o meno, in quell’istante con la coda dell’occhio mi accorsi della presenza di un pacchetto sul sedile posteriore. Scesi dal taxi e aprì lo sportello. Non poteva essere…come aveva potuto cercare di fregarmi in quel modo così subdolo! Istintivamente mi venne di buttarlo per strada ma mi fermai all’istante pensando alle parole di quel pazzo : “ Solo chi non ne viene in contatto in nessun modo ha il potere di disfarsene. “
A bordo strada trovai un ramo secco, lo presi e lo usai per buttare fuori dal taxi quel pacchetto maledetto. Frugai nel portaoggetti per prendere la lattina di liquido dello zippo. La svuotai sul pacco, e con la sigaretta innescai le fiamme. Quel plico emise un fumo rossastro denso e una puzza di zolfo così forte da farmi quasi vomitare. Rimasi qualche minuto a guardare il fuoco ardere, salii in macchina e filai dritto a casa senza intoppi.
Il giorno dopo sul quotidiano, in sesta pagina, un trafiletto riportava una notizia che mi colpì particolarmente. A seguito di un malore si era spento all’aeroporto il tenente colonnello Antonio Deoro, agente che si era distinto in servizio a Palermo alla fine degli anni quaranta nella lotta la banditismo mettendo fine alla banda Giuliano.